di Gianluca Natale
L’arrivo del coronavirus ha travolto l’economia mondiale, soprattutto quella Europea; infatti, il nostro continente, più di altri paesi al mondo, come ha più volte ribadito l’Oms, è stato duramente colpito dal SARS-coV-2.
I Paesi membri, tenuto conto di adottare soluzioni condivise per ristorare economicamente l’eurozona, hanno predisposto la previsione di un fondo comune per il rilancio dell’economia.
Cosa s’intende esattamente per recovery fund? letteralmente “fondo di recupero”, ha l’obiettivo principale di arginare gli effetti, soprattutto economici, del nuovo coronavirus.
La complicazione principale è stata far convergere i singoli paesi ad una soluzione condivisa riguardo la natura ed i criteri di accesso al fondo di recupero; ciò che ha immobilizzato la procedura per svariate settimane è stata la divergenza sul punto tra i paesi del nord Europa, meno colpiti ad inizio pandemia (in particolare Austria e Olanda), ed i paesi del sud Europa (Italia e Spagna) con il maggior numero di contagi.
Dapprima, quando il virus aveva già causato danni da miliardi euro, le maggiori proposte risolutive dei paesi membri riguardavano l’accesso diretto al Mes (sul punto Fact News al n. 1) e agli eurobond, quali strumenti principali dai quali attingere liquidità.
L’accesso a tali fondi ha trovato immediata e ferma opposizione degli Stati del Nord Europa, i quali si sono espressi contro qualsiasi forma di condivisione del debito mentre quelli meridionali si sono mostrati più aperti in tal senso, visto anche lo stato dei loro conti pubblici.
Il piano di recupero dei fondi, cd recovery fund, è subentrato in un momento successivo; per mesi la discussione è ruotata intorno a tante proposte, per trovare un accordo nell’estate del 2020. Nel Consiglio europeo il Recovery Fund ha dovuto superare lo scoglio della condizionalità nell’erogazione delle risorse. Nello specifico, i Paesi beneficiari dei fondi devono dimostrare di rispettare lo Stato di diritto e i basilari principi di democrazia nei propri ordinamenti.
La clausola di condizionalità, (anche definita “clausola elemento essenziale” o “clausola democratica”) per la quale: “tutte le disposizioni dei relativi accordi si fondano sul rispetto dei principi democratici e dei diritti dell’uomo che ispirano le politiche interne ed internazionali della Comunità e dei suoi partners“, ha acceso un’ampia discussione tra i capi di stato europei con Polonia e Ungheria, contrari al suddetto meccanismo di condizionalità.
Nei due paesi in questione, infatti, alcune dinamiche interne, esempio l’indipendenza della magistratura, sono ancora molto discusse e soprattutto non condivise dall’Unione Europea; ciò avrebbe potuto minare all’utilizzo dei fondi per i suddetti Paesi, al punto tale che la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva proposto di escluderli dal piano di recupero.
Il 10 dicembre 2020, in sede di Consiglio Europeo, grazie soprattutto alla mediazione tedesca, si è giunti ad un compromesso per sbloccare il recovery Fund a favore di tutti i 27 paesi dell’Unione.
In breve, la norma sul rispetto dei principi dello Stato di diritto (ovvero rispetto della separazione dei poteri, indipendenza della magistratura, riconoscimento dei diritti dei cittadini) è rimasta tale, ma con l’impegno della Commissione ad elaborare linee guida chiare sulla sua interpretazione e con la possibilità di invocare la Corte di Giustizia Europea sulla sua validità.
Attualmente il capitale previsto è pari a 750 miliardi di euro di cui 390 miliardi come contributi a fondo perduto e 360 miliardi di prestiti con interessi poco onerosi. L’Italia conterà all’incirca su 209 miliardi di euro e dovrà presentare un piano di investimento ed impiego dei fondi entro il primo trimestre del 2021. Dopo la presentazione del piano da parte degli Stati, verrà sottoposto ad un giudizio di ammissibilità dal Consiglio Ecofin (consiglio economia e finanza) e solo successivamente il nostro paese potrà accedere, nella prima fase, al 10% dei fondi riconosciuti.