A cura di Francesco Galasso
Il cambiamento climatico e il surriscaldamento globale, come ben sappiamo, sta causando lo scioglimento dei ghiacci; la fine di tale processo, previsto entro il 2040-2045, sta già provocando nell’Artico la navigabilità delle acque, questa rapidità è dovuta al fenomeno dell’amplificazione artica: un grado di aumento della temperatura media globale nell’ultimo secolo corrisponde a un aumento della temperatura artica di circa tre gradi. Questo aspetto ha ripercussioni non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico visto che si stanno aprendo nuove rotte commerciali che, per le Super Potenze Mondiali, come Cina e Russia, rappresentano nuove opportunità economiche derivanti anche dal raggiungimento e dallo sfruttamento delle risorse energetiche della regione.
La Cina e Russia, infatti, stanno conducendo nell’area Artica, una grande lotta di potere sia dal punto di vista economico sia da quello militare che inevitabilmente investe i paesi che costituiscono la spina dorsale dell’Artico. Basti pensare che solo il governo cinese nel 2018 ha emesso il primo libro bianco sull’Artico, il quale, predisponeva un piano di sviluppo commerciale che prevede investimenti fino a mille miliardi di dollari per realizzare una sorta di “via della seta polare” che passi per il Nord della Russia al fine di realizzare nuovi canali commerciali via mare che sbocchino verso i mercati europei.
Questo avvantaggerebbe la Cina e le proprie rotte commerciali perché, passando direttamente dall’artico, le navi commerciali cinesi, risparmierebbero circa il 30% del tempo per raggiungere l’Europa, questo processo però costituire fonte di una forte conflittualità d’interessi e comportare un elevato rischio per i porti del Mediterraneo che perderebbero la loro importanza strategica.
La Cina, per raggiungere l’obiettivo, sta investendo massicciamente in Russia, Finlandia, Norvegia e Islanda. Dunque, questi investimenti rappresentano anche la possibilità, non trascurabile, di mettere le mani, in futuro, sulle materie prime che offre il territorio come i giacimenti minerari, petroliferi e gassosi presenti nel sottosuolo della zona, obiettivo che il governo cinese vuole raggiunge con il rispetto dell’ambiente, come ribadito anche delle aziende cinesi accanto a quelle internazionali. Consideriamo che solo nella regione artica si trova oggi il 25% del totale degli idrocarburi presenti sul Pianeta con un valore economico pari a circa 17 trilioni di dollari, praticamente cifra paragonabile all’economia americana secondo le stime del collettivo Arctic times project. L’interesse della Cina per l’Artico comincia nel 1989, anno della fondazione di un Istituto di ricerche polari a Shanghai. Nel 1993 Pechino si dota della rompighiaccio Xue-Long, che effettua la sua prima spedizione scientifica. Nel 2004 il Dragone costruisce la stazione artica Huanghe a Ny Alesund, la località più settentrionale del mondo, situata sull’isola norvegese di Spitzberg.
All’epoca la Cina puntava a fare della Norvegia il suo partner artico privilegiato. Ma nel 2010 il premio Nobel per la pace assegnato dal comitato norvegese a Liu Xiaobo, militante per la difesa dei diritti umani, all’epoca in carcere, raffreddò momentaneamente le relazioni tra la Norvegia e la Cina, che rivolse le proprie attenzioni all’Islanda, con la quale firmò nel 2013 un trattato di libero scambio molto esteso, aumentando il proprio peso diplomatico nelle regioni Artiche.
Dopo l’arrivo al potere di Xi Jinping, Pechino stringe con Mosca un’ambiziosa partnership energetica, dove la Cina mette a disposizione il denaro e la tecnologia necessari alla Russia per sfruttare le immense riserve di gas situate nell’Artico. Tale accordo è molto importante per la Russia che non è pronta a perdere lo scettro di potenza artica, e che dipende tanto da tale regione, basti pensare che il 60% del pil russo deriva dall’Artico.
Dunque, fino ad oggi, il primo investitore nell’Artico è la Cina che ha investito 89,2 miliardi di dollari, che corrispondo a circa 80,2 miliardi di euro, in infrastrutture, capitali, accordi di cooperazione o di finanziamento e altri progetti nelle economie dei paesi dell’Artico.
Questi investimenti hanno, dunque, come illustrato, l’obiettivo principale di fare della Cina la prima super potenza globale nei settori energetici e minerari.