A cura di Francesco Galasso
Cosa sappiamo dei buchi neri?
Esistono quattro tipi diversi di buchi neri: stellari, intermedi, supermassicci e i mini buchi neri. Sono punti dello spazio così densi da creare veri e propri pozzi gravitazionali, infatti, in queste zone dell’universo tutto ciò che gli si avvicina alla potente forza di gravità di un buco nero, come ad esempio, una stella o un pianeta verrà allungato e compresso in un processo noto come “spaghettificazione”. In genere un buco nero si forma dopo la morte di una stella molto grande che alla fine della sua vita si gonfia, perdendo massa e subendo un processo di raffreddamento che la fa trasformare in una nana bianca, destinata a diventare una stella di neutroni o a collassare in un buco nero. Questo perché durante le fasi finali della loro vita le stelle si spengono con un’esplosione di supernova. Una tale esplosione scaglia la materia stellare nello spazio, lasciando dietro di sé il nucleo stellare. Quando una stella gigante esaurisce il combustibile ed esplode in supernova non c’è più niente che si opponga alla gravità, così il nucleo inizia a collassare su sé stesso e se la sua massa collassa in un punto infinitamente piccolo, nasce un buco nero. Quel punto piccolissimo genera una gravità incredibile che inghiotte qualsiasi cosa si avvicini troppo all’orizzonte degli eventi, cioè la zona che delimita la singolarità nella quale la materia è concentrata.
Ci sono ancora tante cose da scoprire, una delle prime domande che gli scienziati si pongono è: sono nati prima i buchi neri o le galassie? Difficile dare una risposta, quello che sappiamo è che questi oggetti cosmici hanno plasmato la maggior parte delle galassie, compresa la Via Lattea. Sarebbe interessante inoltre capire cosa c’è oltre l’orizzonte degli eventi di un buco nero, c’è chi parla di una singolarità con densità infinita o di un tunnel che porta in altre regioni dell’universo, per il momento non esistono risposte adeguate in base ai dati disponibili. Stephen Hawking, fornì la sua interpretazione con la cosiddetta radiazione di Hawking affermando che i buchi neri diventano sempre più piccoli fino ad evaporare, una volta raggiunta una certa temperatura. Ci si chiede se le informazioni circa un determinato oggetto, una volta che sia entrato in un buco nero, vadano completamente perse. Se questo fosse provato in futuro, come riteneva Hawking, sarebbe evidente che non esistono modi di “ricostruire” le informazioni di un oggetto, una volta oltrepassato l’orizzonte degli eventi.
Sagittarius A*, il buco nero al centro della nostra galassia.
Sagittarius A* è il nome del buco nero che gli scienziati dell’ESO (European Southern Observatory) hanno svelato, giovedì 12 maggio 2022 in una diretta web seguita da tantissimi appassionati di astronomia, mostrando per la prima volta al mondo una foto che lo ritrae al centro della Via Lattea. Si tratta di un buco nero supermassiccio che si trova al centro della nostra galassia, ha una massa di circa quattro milioni di volte quella del Sole e assomiglia a una ciambella; al contrario di altri mostri cosmici scoperti nell’universo, assorbe solo occasionalmente gas e polvere.
Nonostante i numerosi misteri riguardanti l’argomento buco nero, sappiamo che tutto, nella nostra galassia, ruota attorno a Sagittarius A*, incluso il nostro sistema solare, che si trova a circa 27mila anni luce di distanza dal buco nero. Furono gli astronomi Reinhard Genzel e Andrea Ghez a misurarne la massa nel 2008, determinando che fosse appunto di 4,3 milioni di volte quella del nostro Sole e negli anni gli scienziati hanno anche calcolato il suo diametro, di circa 23,5 milioni di chilometri. Sembra gigantesco ma in realtà è piccolo rispetto alla Via Lattea stessa, larga 100mila anni luce e spessa 1.000. Il disco di gas che circonda il buco nero supermassiccio si estende dai 5 ai 30 anni luce e causa deboli lampi di raggi X di tanto in tanto; tali emissioni radioattive sarebbero strettamente collegate alle temperature del disco di accrescimento, che arrivano a ben 10 milioni di gradi Celsius.I dati che hanno permesso agli scienziati di arrivare a elaborare questa immagine arrivano dalla rete mondiale di telescopi EHT. Infatti, grazie alle osservazioni effettuate dall’Event Horizon Telescope e dai dati elaborati dai supercomputer del Max Planck Institute di Bonn e dell’HaystackObservatory del Massachusetts, è stato possibile ammirare il gigantesco mostro cosmico in tutta la sua bellezza. Gli scienziati sono rimasti sorpresi di come le dimensioni del disco osservato corrispondessero alle previsioni della teoria della relatività generale di Einstein. Utilizzando l’interferometria, gli astronomi hanno raccolto ore e ore di dati, che poi sono stati pubblicati assieme alla foto. Pare che gli scienziati dell’ESO, principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa, siano convinti degli importanti passi in avanti decisivi per le future scoperte. Già nel 2019 avevamo avuto la possibilità di vedere la prima immagine di un buco nero, quella della galassia M87, non tanto differente da Sagittarius A*, in base alle immagini a disposizione. In realtà, il buco nero al centro della Via Lattea risulta essere oltre mille volte più piccolo del buco nero al centro della galassia M87.
Proprio a partire dall’analisi di quei dati complicati si sta testando in ogni modo la teoria della relatività, cercando di estrarre nuove informazioni magari non visibili a primo impatto. Lo scorso marzo è stata condotta una nuova campagna di osservazione, con tre nuovi radiotelescopi in più. Non resta, dunque, che aspettare l’analisi completa dei dati, con la quale chissà quante altre cose scopriremo.