di Francesco Saudino
Da quel 13 Gennaio 2021, data in cui Matteo Renzi ha ritirato i propri Ministri e aperto ufficialmente la crisi di Governo, sembra passata un’eternità, e quella che per molti era una personale querelle politica tra il leader di Italia Viva ed il Presidente del Consiglio uscente, si chiude aprendo le porte all’ennesimo tecnico a capo di un governo politico. Perché Governi tecnici veri e propri non esistono, o comunque, non sono facilmente attuabili nella nostra Repubblica Parlamentare. Eppure, più di una volta un “tecnico”, non eletto in precedenza, è stato a capo di una maggioranza politica improvvisata e spesso nata soltanto in Parlamento, a causa di leggi elettorali imperfette e crisi politiche. L’ultimo? Proprio Giuseppe Conte, per la verità sesto tecnico di quella che potremmo definire una fallimentare seconda Repubblica. Ciampi, Dini, Amato, Monti, Renzi, e dopo la doppia parentesi Conte, avremo Mario Draghi.
Quindi, cosa aspettarci dall’ex Presidente della BCE?
Indubbiamente la scelta del nostro Capo di Stato di affidare l’incarico ad un nome tanto imponente ha diviso l’opinione pubblica, tra quanti auspicano un Governo di alto profilo istituzionale, come dal Presidente Mattarella chiesto, e quanti temono un Monti 2.0. Bene, innanzitutto occorre subito scartare questa estrema ipotesi per ovvie ragioni storiche. La crisi che stiamo vivendo oggi è ben diversa ed anche peggiore di quella economica che ci ha accompagnato negli anni precedenti. Eppure abbiamo gli strumenti per affrontarla, i 209 miliardi del Next Generation EU, una somma tale da non richiedere ulteriori folli indebitamenti o tassazioni particolari. Ed infatti il principale compito del nuovo Governo sarà proprio quello di modificare, se non riscrivere ex novo, l’inadeguato finora Recovery Plan, così com’è stato concepito dall’ultima maggioranza di Governo. Quello che a gran voce chiedeva Matteo Renzi e tanti altri partiti e parlamentari. Perché questi miliardi sono una grande opportunità, ma solo se ben spesi. Altrimenti non saranno altro che nuovo debito a gravare sulle spalle di tutte le presenti e future generazioni.
Sicuramente nessuno, nemmeno Mario Draghi, può avere la ricetta unica per superare la crisi e spendere al meglio questa opportunità che l’Europa ci concede, ma al di là delle ottimistiche risposte del mercato e dello spread, una prima conseguenza positiva l’ha già avuta l’incarico a Draghi: la maggioranza che nascerà sarà ampia, e quindi forte. E quello che per molti potrà sembrare un “mappazzone” politico, un fritto misto di forze totalmente antitetiche tra loro, rappresenta una grossa opportunità. È indubbio, infatti, che lo si abbia apprezzato o meno, che il precedente Governo non si è confrontato abbastanza con i partiti all’opposizione e le loro proposte (talvolta, nemmeno con quelli all’interno della propria maggioranza). E se dal confronto di idee diverse può nascere qualcosa di buono, deve questo essere il caso. E la gestione fallimentare di alcuni Ministeri obbliga a scegliere la via della competenza amministrativa, che in un’ampia maggioranza, è di più facile individuazione. L’emergenza che stiamo vivendo non può essere più affrontata con egoismo e inutili personalismi. Al centro dell’agenda di Mario Draghi devono esserci i temi, le idee, una prospettiva futura. E tutti sono chiamati a dare una mano.
Per questo, ben più dell’inflazionato “Whatever it takes”, un altro più recente discorso del premier incaricato sembra rassicurare le preoccupazioni dei tanti giovani, e meno giovani, che sanno che questa crisi ce la porteremo avanti per molti anni, e che il solo assistenzialismo come cura anticrisi, altro non è che un palliativo, debito per lo più cattivo, che difficilmente saremo in grado di ripagare senza un’inversione di rotta. Nella speranza possa nascere davvero un Governo Draghi appoggiato da una larga maggioranza, e che possa tranquillamente portare a conclusione questa legislatura, concludo questo mio articolo, riportando quelle che sono state per me le più importanti e significative parole del Draghi pensiero, pronunciate al Meeting di Rimini 2020.
“Questo debito, sottoscritto da Paesi, istituzioni, mercati e risparmiatori, sarà sostenibile, continuerà cioè a essere sottoscritto in futuro, se utilizzato a fini produttivi, ad esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca ecc. Se è cioè “debito buono”. La sua sostenibilità verrà meno se invece verrà utilizzato per fini improduttivi, se sarà considerato “debito cattivo”. Vi è però un settore, essenziale per la crescita: l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani. Questo è stato sempre vero, ma la situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore. La partecipazione alla società del futuro richiederà ai giovani di oggi ancor più grandi capacità di discernimento e di adattamento.
In questo susseguirsi di crisi, i sussidi che vengono ovunque distribuiti sono una prima forma di vicinanza della società a coloro che sono più colpiti, specialmente a coloro che hanno tante volte provato a reagire. I sussidi servono a sopravvivere, a ripartire. Ai giovani bisogna però dare di più: i sussidi finiranno e resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e il loro reddito futuri. Ma c’è anche una ragione morale che deve spingerci a questa scelta e a farlo bene: il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo, pur vivendo in società migliori delle nostre. Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza.”