I Beni Comuni sono beni fruibili dalla Comunità, a differenza della proprietà pubblica.
L’Assemblea costituente, nel ’48, ha dato per scontato che la proprietà pubblica incarni tale funzione e, infatti, la Carta costituzionale è caratterizzata dalla scarsità di disposizioni costituzionali in merito.
Si evidenzia, infatti, che dal dibattito in Assemblea costituente e dalla lettura dell’art.42 della Costituzione emerge come il nesso tra beni pubblici e diritti fondamentali non sia stato sufficientemente approfondito.
Sono tanti e vari gli esempi di collaborazione fra cittadini e amministrazione per il governo dei beni comuni urbani.
Il rapporto Amministrazione – Cittadino – Beni pubblici mira alla riqualificazione dei beni immobili e spazi pubblici della città, attraverso il c.d. governo condiviso del territorio, soggetti a condizioni di degrado o di disuso. Si tratta della promozione della cittadinanza attiva come strumento di contrasto alla povertà – in attuazione dell’art. 1 della Costituzione – e di valorizzazione delle zone più deboli della città.
Affrontare il tema delle città “condivise” significa affrontare il tema del rapporto tra spazi pubblici e spazi privati. Garantire la condivisione degli spazi comuni significa combattere le discriminazioni e le esclusioni sociali, in ottemperanza al dettato Costituzionale.
Le città, e quindi i suoi beni pubblici, sono una delle principali formazioni sociali in cui si svolge la personalità̀ dell’uomo e in cui si riconoscono i diritti inviolabili e i doveri inderogabili di solidarietà. La funzione sociale della collaborazione tra la comunità e gli enti locali è, peraltro, una delle varie forme di attuazione del principio Costituzionale di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 Cost., quarto comma; esso presenta una struttura aperta attraverso la quale si consente di affidare autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, la gestione di alcuni beni.
Secondo autorevole dottrina, gli Enti Locali dovrebbero effettuare con cadenza periodica una ricognizione e rivalutazione degli spazi aperti e chiusi, che possono essere oggetto di interesse per la cittadinanza e renderne pubblica tale qualità.
Ciò non esclude che la possibilità di gestione del bene pubblico passi attraverso l’iniziativa privata, a seguito certamente di un controllo di natura pubblicistica, tenuto conto di una valutazione preventiva di compatibilità con l’interesse pubblico primario di cui è portatrice la Pubblica Amministrazione.
Per quanto riguarda i patti di collaborazione e la gestione sussidiaria dei beni comuni, essi trovano fondamento nei principi di solidarietà e di eguaglianza, difatti, mirano a promuovere il diritto alle pari opportunità ed il contrasto alle discriminazioni.
Sul punto torna nuovamente in auge la prospettiva ecologica, tenuto conto che tali funzioni devono poter svolgersi in ossequio ai principi di tutela ambientale, considerato il combinato disposto degli artt. 9 e 32 della Costituzione, ossia nel rispetto del diritto ad un ambiente salubre. Secondo parte della dottrina, in tale ottica, i beni comuni, al di là della categoria della proprietà pubblica sancita dall’art. 42 Cost. quale espressione fisiologica e sintomatica di funzione sociale, debbono essere considerati come una nuova categoria ancora in costruzione (sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza) ovverosia una variabile della già esistente proprietà pubblica.
Dunque, l’aspetto funzionale dei beni comuni è costituito dalla delineazione dei rapporti intercorrenti tra i cittadini e la Pubblica amministrazione nella gestione dei beni comuni urbani, in particolare in tema di autonomia e responsabilità direttamente riconducibili ai beni pubblici, che sono idonei a garantire l’esercizio dei diritti fondamentali della persona e la tutela dei diritti delle generazioni future in attuazione dell’art. 117, comma 6 della Costituzione.