di Natalia Cirillo
Il contagio da coronavirus è anche un contagio emotivo, ci siamo tutti ritrovati da un giorno all’altro a perdere le nostre abitudini, a rimanere isolati dal mondo, a rimodulare i nostri progetti di vita, a studiare e lavorare da casa. C’è stato, però, un grande assente nel dibattito mediatico e tecnico sulla scuola ai tempi della quarantena e al quale riteniamo giusto dedicare tempo e spazio: l’alunno disabile.
Il disagio generato ai ragazzi disabili è il danno collaterale del Covid: le strutture didattiche, i centri, le scuole, sono stati per lungo tempo chiusi, costringendoli a rimanere a casa senza poter fare le dovute terapie. E’ stato duro affrontare mesi e mesi di isolamento domiciliare,
purtroppo alcuni di loro sono anche andati a regredire rispetto a tutti i progressi fatti fino a quel punto.
I ragazzi che hanno una disabilità intellettiva faticano a interiorizzare i cambiamenti. La ripetizione delle proprie attività è calmante, le dà sicurezza. In questo periodo le attività sono variate e la socialità è stata annullata.
La didattica a distanza per un alunno disabile coinvolge e impegna ancor di più i genitori, che durante la quarantena si sono improvvisati insegnanti, infermieri, terapisti; ma non tutti hanno avuto la possibilità di collaborare a questa nuova prassi e all’uso delle nuove tecnologie ed inoltre i materiali in circolazione sono risultati poco fruibili e poco funzionali alle complessità di bisogni specifici.
Si avverte il bisogno di ribadire, con particolare valenza pedagogica, che mai come in questo caso non è importante la quantità bensì la qualità delle attività predisposte, delle relazioni, delle valutazioni, che dovranno sempre essere coerenti con gli obiettivi. Il rapporto tra la quantità dei contenuti in relazione al programma svolto e la qualità della relazione educativa diventa punto di riferimento per la valutazione dell’anno scolastico, interrotto bruscamente dall’emergenza pandemica; sarebbero, infatti, da valutare non tanto il programma svolto quanto il processo di maturazione e di crescita umana e sociale di tutti gli studenti.
Per i bambini con disabilità non è pensabile proporre programmi generici e allargati. Per questi bambini speciali valgono più che mai i principi della didattica uno a uno (peer to peer) e della personalizzazione dei percorsi di sviluppo. Anche la promozione all’anno successivo non va intesa come agevolazione nell’anno di grazia, bensì come doverosa registrazione del percorso fatto e impegno a riprendere il cammino colmando anche eventuali vuoti e carenze. Compito primario dell’azione educativa, nella situazione che abbiamo vissuto, è stato quello di guidare anche i disabili alla lettura, comprensione e valorizzazione dell’esperienza vissuta nello spazio domestico di distanziamento fisico e non sociale. La socialità, infatti, è una categoria valoriale e non è distanziabile.
Molti genitori di ragazzi disabili hanno denunciato gli effetti di questo isolamento nell’isolamento: senza terapie, i loro figli regrediscono ogni giorno. La scuola è stata duramente colpita dalla pandemia trovandosi impreparata all’uso della didattica a distanza come modalità esclusiva di insegnamento: si è affidata alla buona volontà degli insegnanti e dei dirigenti scolastici per superare le molteplici difficoltà pratiche e per soddisfare le esigenze degli studenti, specie dei più piccoli.
La DAD non è nemmeno un obbligo per gli insegnanti ma costituisce un extra su base “volontaria”, che gran parte dei docenti si è sobbarcata per senso del dovere.
La scuola è l’unico servizio non sanitario presente in modo importante nella vita dei disabili e delle loro famiglie, non solo con finalità di socializzazione ma anche con possibilità d’inclusione in un contesto più ampio di quello della famiglia. Nella scuola i discenti dovrebbero avere tutti le medesime opportunità.
La diversità dovrebbe essere vista come una risorsa e come occasione di confronto e di crescita. Invece, non è quanto è accaduto in periodo di Covid-19, in quanto abbiamo visto stravolgere quei principi fondamentali con la conseguenza dell’incremento delle diseguaglianze. Senza scuola, i ragazzi stanno perdendo man mano quelle piccole grandi abilità e conquiste di autonomia e autostima che avevano faticosamente guadagnato grazie ai programmi di sostegno pensati per loro.
Parliamo di una categoria composta da oltre 260 mila ragazzi con deficit di tipo intellettivo, affettivo-relazionale o di sviluppo motorio e/o visivo: studenti con problemi di linguaggio, apprendimento e attenzione, che però non hanno perso il diritto di sentirsi parte di una collettività e di intraprendere un percorso di crescita personale, con presenza che varia da regione a regione. A questi dati si affianca la carenza di figure specializzate.
In Italia questi ragazzi con diversi gradi di disabilità frequentano la scuola. Per loro, però, il Miur non ha previsto nessun programma di didattica speciale. I bambini sono stati lasciati completamente soli, senza programmi e senza stimoli. Senza la possibilità di socializzare, tanto importante e indispensabile per il loro speciale sviluppo. In più, non possono frequentare quei programmi extra scolastici che li mantenevano attivi e felici.
Per loro servono programmi individuali e, molto spesso, vicinanza fisica, in contrasto con le severe misure di distanziamento sociale che ci accompagneranno per molto tempo. In assenza di programmi e strutture attive, la gestione delle difficoltà dei ragazzi disabili ricade così completamente sulla famiglia. Le famiglie con figli disabili si sono ritrovate quindi ad affrontare un carico sovrumano: la gestione dei bisogni speciali, oltre a tutti gli altri disagi del lockdown: altri figli, magari piccoli, da seguire, genitori anziani, a volte malati, smart working, preoccupazioni economiche.
Nessuna istituzione pubblica ha pensato a loro.
Sebbene in questi anni sia stato fatto molto per l’integrazione, esistono ancora ostacoli e problematiche da affrontare e risolvere. La parola integrazione non ci pare comunque appropriata; forse è giunto il momento di superarla in ragione del rispetto che ogni essere umano, nella sua unicità, merita. La pretesa di omologare ci risulta una forzatura, forse è giunto il tempo di andare contro corrente e di esserne fieri, rispettando la diversa unicità di tutti. E per finire: “Ogni essere umano vive spesso su di sé delle diversità impalpabili, non visibili nel corpo, non riconosciute istituzionalmente, non tutelate da leggi; sono diversità emotive, lasciate alla gestione del buon senso comune, dei genitori che, per tentativi ed errori, cercano di entrare in sintonia con i figli, o dell’impegno personale di singoli insegnanti, che per singolari capacità empatiche riescono ad entrare in relazione anche con quei bambini che tendono ad isolarsi, ad allontanarsi dal mondo per paura di essere riconosciuti, di essere visti…”.
“La mancanza di salute e la disabilità non sono mai una buona ragione per escludere o, peggio, per eliminare una persona; e la più grave privazione che le persone anziane subiscono non è l’indebolimento dell’organismo e la disabilità che ne può conseguire, ma l’abbandono, l’esclusione, la privazione di amore.”
PAPA FRANCESCO