di Michele Cantiello
Scrutare il cielo per trovarne un messaggio è forse una delle attività umane più antiche e, insieme, più moderne. Al tempo d’oggi il cielo ci attira con eccezionali scoperte e manifestazioni cosmiche, note anche grazie alla fonte illimitata di informazione che è il web, ultima in ordine temporale, ma non per spettacolo offerto, la recente “grande congiunzione” di Giove e Saturno descritta nell’inserto di questa pagina.
Tornando indietro nei millenni, il cielo, ovvero la sua conoscenza, ha avuto un ruolo fondamentale nel progresso del genere umano. L’uomo del paleolitico da nomade diventa stanziale quando comincia ad affidarsi all’agricoltura per il proprio sostentamento. L’arte agricola prende piede solo quando l’uomo, scrutando il cielo appunto, impara a riconoscere la ciclicità delle stagioni. Le due cose, in effetti, sono strettamente collegate: la cognizione dell’alternanza delle costellazioni nell’arco stagionale annuale fu il primo strumento a disposizione dell’uomo per riconoscere l’alternanza dei periodi di siccità, di pioggia, di caldo, di freddo. La successione fondamentale per stabilire i tempi di semina e di raccolta.
Venne cosi, da questi sguardi primitivi al cielo che i nostri avi impararono a distinguere le stelle dai pianeti. Il nome pianeta, come noto, si ricollega a termini di origine greca, che significano errante, vagabondo. Questo per una caratteristica distintiva evidente già all’uomo antico che scrutava il cielo senza altro strumento che i propri occhi: i pianeti si spostano rapidamente in cielo nel corso delle settimane rispetto alle stelle, e non hanno la ciclicità annuale di queste ultime. La Lira e Orione sono due esempi di costellazioni ‘stagionali’: estiva la prima, invernale la seconda. Annualmente ritornano a dominare la notte di stagioni diverse. In tal senso i pianeti erano per l’uomo antico quasi un fastidio: si presentano in cielo e attraversano “casualmente” le costellazioni; vagabondi appunto. In realtà già il modello geocentrico tolemaico -dell’astronomo greco Tolomeo, nato e vissuto in Egitto circa un secolo prima della nascita di Cristo-, riuscì a riconoscere e a predire le ciclicità nell’orbita dei pianeti.
Lo studio del cielo, naturalmente, continua ancora oggi, con metodi e fini naturalmente molto diversi dai nostri antenati. Attualmente scrutiamo le oscurità cosmiche per carpire i primi vagiti dell’Universo, o per conoscere i numerosi dettagli ancora nascosti di come è fatta e come funziona casa nostra. Ciononostante, cosi come lascia disarmati la quantità e qualità di conoscenza astronomica disponibile all’essere umano di oltre duemila anni fa, lascia altrettanto disarmati la diffusa moderna ignoranza del cielo.
Un’ignoranza puramente contemporanea in effetti. I nostri nonni avevano notevole dimestichezza con le posizioni del Sole, o del sorgere delle costellazioni, per la misura del tempo e per il calendario. La “voccola e i pucini” (probabilmente si tratta delle Pleiadi), o “u cumpass” erano asterismi, se non costellazioni vere e proprie, il cui sorgere o tramontare era utilizzato dai nostri nonni, per stabilire l’ora mattutina a cui levarsi per il mercato, o per lasciare le terre, ad esempio. Senza dimenticare il ruolo fondamentale delle stelle per l’orientamento! Certamente ne hanno ancora memoria i nostri conterranei più anziani.
È vero, con orologi, smartphone, sempre più piccoli, sempre più diffusi e capaci di performances sempre più avanzate, oggi non è necessario riconoscere l’ora dalla posizione del Sole, o identificare una direzione tramite la Polare. La perdita di una necessità, purtroppo, comporta anche una perdita di abilità, di conoscenza. E cosi, durante eventi di divulgazione astronomica mentre si indica un pianeta o la stella Polare, o una qualche costellazione o la regione in cui si trova una galassia, non di raro capita di sentirsi dire: “Davvero? Ma perché i pianeti si vedono a occhio nudo? Non ci vuole un telescopio? E tu che ne sai?”.
Ovviamente, come già detto, vanno riconosciuti gli incredibili meriti dell’accesso rapido all’informazione dei tempi moderni. La capillarità della diffusione delle notizie, soprattutto quando si parla di un argomento di Astronomia, comporta che fondamentali scoperte astronomiche o, più banalmente, particolari eventi celesti giungano a conoscenza praticamente di chiunque. La prima immagine di un buco nero, le foto trasmesse dall’ultima missione spaziale, le prime onde gravitazionali osservate, gli sciami meteorici, etc., argomenti che normalmente non avrebbero superato la barriera dei tecnici, o quella dei non numerosissimi appassionati, grazie ai social diventano rapidamente argomenti di comunicazione diffusa. Fra questi, uno degli eventi astronomici più spettacolari e recenti, è stata la congiunzione fra Saturno e Giove, oggetto delle immagini in questa pagina e meglio descritta nell’inserto. Un evento che, normalmente avrebbe raggiunto forse pochi, è diventato argomento virale e, nei giorni in cui la congiunzione è stata massima, non si è lesinato in tweet, post e storie-social corredati di foto, immagini, descrizioni, spiegazioni.
Torno, quindi, al contrasto fra la conoscenza del cielo dei nostri antenati, e la scarsissima dimestichezza dei tempi moderni. Non avendo più bisogno di riconoscere il cielo, perché dotati di strumenti più precisi e semplici da usare, ne abbiamo perso non solo e non tanto la conoscenza ma più spesso abbiamo perso l’abitudine a guardarlo. Colpevoli anche le inutilmente eccessive luci della città (le luci di Piazza Villa forse si vedono dalla stazione spaziale internazionale!). Nondimeno, i benefici della modernità restano, i tanto vituperati social, in mezzo a tanti difetti qualche merito pure l’hanno: in fondo con la loro capacità di raggiungere chiunque in modo spesso martellante, sono stati in grado di riportarci con gli occhi al cielo, dopo averli tenuti chini per ore su un display.
Per concludere, un augurio. I nostri antenati per i quali la regolarità celeste era fondamentale, probabilmente non avrebbero visto di buon occhio l’eccezionale evento astronomico di questi giorni. Per mettersi alle spalle un 2020 decisamente poco entusiasmante, a noi piace pensare che lo spettacolo della congiunzione offerto dai due pianeti giganti del sistema solare sia il più bell’augurio per il 2021 che viene.
La congiunzione Giove-Saturno
Al tempo in cui esce questo giornale, la congiunzione fra i pianeti Giove e Saturno sarà ancora in parte visibile, anche se il periodo di massimo avvicinamento sarà ormai passato. Come noto il “bacio” è avvenuto il 21 Dicembre, incidentalmente la data del solstizio d’Inverno. Nella grafica a fianco è spiegato come mai i due pianeti appaiono cosi vicini. In realtà non sono affatto vicini, è solo un effetto di proiezione: i pianeti si trovano allineati lungo la linea di vista dell’osservatore terrestre, quindi in proiezione sembrano vicini. Sebbene i due giganti siano apparentemente distanti solo circa 0.1 gradi (circa un quinto del disco lunare), la loro distanza reciproca è di quasi 750 milioni di chilometri. Un fenomeno astronomico che, appunto, prende il nome di congiunzione. Tale vicinanza angolare fra Giove e Saturno non è evento molto frequente. Fra le congiunzioni precedenti tra i due pianeti, per averne una visibile e cosi ravvicinata bisogna tornare al 1226, anno della morte di Francesco d’Assisi, 50 anni prima della nascita di Dante Alighieri! Bisognerà attendere al 2080 per una nuova congiunzione cosi stretta.
Alle latitudini casalesi, ancora per qualche settimana, ad inizio serata -dalle 17:30 circa- e per un’ora in tutto, la coppia sarà ancora visibile per varie settimane. Basterà volgere lo sguardo in basso verso sud-ovest (ovvero dallo stadio Scalzone osservando in direzione del mare) per trovare ancora visibili, ma bassi in cielo, i due astri come due punti molto luminosi e in fase di tramonto.
Per gli interessati, ci sono molte app in grado di orientarci in cielo. Ottime ed economiche alcune, gratuite altre. Fra queste semplici ed efficaci Stellarium, SkyView e Mappa Stellare.