Il 29 marzo 2020 dalle ore 7:00 alle ore 23:00 gli elettori saranno chiamati alle urne per esprimersi, con un SI o un NO, alla proposta di modifica della Carta costituzionale.
Il quesito
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?».
La riforma, attribuita all’ex senatore pentastellato Fraccaro, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, prevede una riduzione del numero dei parlamentari del 36,5%. La Camera dei deputati subirà una riduzione degli onorevoli deputati da 630 a 400, invece, il Senato della Repubblica da 315 a 200 senatori. La riforma è stata votata a maggioranza qualificata dalla Camera dei deputati e con una maggioranza assoluta dei senatori.
La modifica costituzionale, voluta fortemente dal Movimento 5 Stelle, ha l’unico scopo di “tagliare le poltrone” del Parlamento e garantire per le casse dello Stato una riduzione della spesa pubblica, quindi della politica, di ben 500 milioni ogni 5 anni.
Le modalità di voto
Come abbiamo anticipato, è possibile esprimersi barrando la casella del SI a favore del taglio del numero dei parlamentari o del NO e quindi lasciare la situazione attuale.
Importante è sottolineare che tale proposta referendaria non necessità di raggiungere il quorum.
Vince e si afferma l’opzione che, semplicemente, riceve più voti indipendentemente dall’affluenza ai seggi. L’esito delle urne, infatti, sarà valido anche se non si raggiungerà il 50% più uno dei votanti. A differenza di quanto succede invece con i referendum abrogativi (indetti per cancellare una legge), questa volta l’astensione dal voto non “varrà” come un no.
In Italia, negli ultimi anni, sono state tre le proposte di modifica alla Costituzione:
Nel primo caso gli italiani hanno votato favorevolmente la riforma del Titolo V approvata dalla maggioranza degli italiani, negli anni dei governi Prodi, D’Alema e Amato;
Il secondo caso di referendum confermativo ha riguardato la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi (su ispirazione della Lega di Bossi e Calderoli ministro delle Riforme): la cosiddetta ‘devolution’, bocciata con il 61%, mentre i votanti avevano raggiunto il 52%.
Il terzo caso è stato l’ultimo e terzo referendum costituzionale nella storia repubblicana, proposta dal governo Renzi. La maggioranza degli Italiani per una seconda volta ha respinto il disegno di legge costituzionale. I no sono stati il 59,11%, contro il 40,89% di sì. I votanti però sono stati da record, quasi il 69%. Prima conseguenza politica le dimissioni del governo Renzi.
Questo è il quarto referendum confermativo della storia repubblicana.
Le conseguenze della riforma
Il Blog delle stelle – che è l’organo ufficiale del M5s – stima che il risparmio alla spesa pubblica si aggirerebbe intorno a 500 milioni di euro a legislatura ed equivarrà circa a 1 miliardo di euro in 10 anni. Soldi che, secondo i 5 stelle, potranno essere reinvestiti “per costruire 133 nuove scuole o 67mila aule per i nostri bambini, ma anche per comprare 13mila ambulanze, assumere 25mila infermieri o 11mila medici. 1 miliardo equivale a 133 nuovi treni per i nostri pendolari, al Sud come al Nord”.
Secondo Pagella Politica, il portale di fact-checking, sostiene che una volta che il taglio dei parlamentari sarà effettivo, lo stato risparmierà circa 81,6 milioni di euro all’anno, e di conseguenza circa 408 ogni legislatura.
Per arrivare a questo risultato, i redattori hanno recuperato il bilancio della Camera e quello del Senato del 2018 e sono andati a cercare le voci relative alla spesa relativa alle indennità dei deputati e al rimborso spese per l’esercizio del mandato e hanno fatto i calcoli.
Diversamente, il centro guidato dall’economista Carlo Cottarelli sostiene che il risparmio sarà persino inferiore rispetto a quello stimato da Pagella Politica.
L’Osservatorio prende in considerazione un’indennità lorda mensile di 10.400 euro e un rimborso spese mensile pari a circa 8.500 euro per ogni parlamentare, arrivando alla conclusione che Camera e Senato risparmieranno 82 milioni di euro lordi all’anno
Il numero da tenere a mente non è perciò quello degli 82 milioni all’anno ma di 57 milioni – considerando un’indennità netta di 5 mila euro al mese – per un totale di 285 milioni a legislatura. Questa cifra, conclude Frattola, è molto più bassa rispetto a quella enfatizzata dai sostenitori della riforma, ed è pari allo 0,007% della spesa pubblica italiana.