Per comprendere cosa sia il revenge porn è essenziale tener presente una cosa: ad oggi, gestiamo gran parte delle nostre vite mediante l’uso della tecnologia. Gestiamo il nostro lavoro, i nostri soldi, le nostre idee e perfino le nostre relazioni, che vengono letteralmente vissute per il tramite dei social network.
Partendo dall’etimologia dell’espressione, in ‘revenge porn’ si associa la parola “vendetta” (revenge) a quella di pornografia.
Il revenge porn consiste nella diffusione di immagini o video intimi di una persona senza il suo consenso a scopo di vendetta, ad opera dell’ex-partner, in seguito al troncamento di una relazione, per punire o umiliare, rendendo pubbliche immagini, video o attraverso l’hacking (ingresso forzato) dei dispositivi della vittima.
Ultimamente questo genere di vendetta si è diffuso sempre di più. In Italia vi sono stati e vi sono tuttora parecchi casi di revenge porn (anche a danno di personaggi famosi) che hanno portato ad una tale esasperazione delle vittime da indurle al suicidio.
I più recenti casi italiani si ricollegano principalmente al social network “Telegram”, nel quale è stata scoperta l’esistenza di una vasta rete di gruppi dove persone, di diverse età, si scambiano foto intime, di nudo, ma anche semplici foto che ritraggono la quotidianità, postate volontariamente dalle vittime e fatte girare come merce di scambio sessuale. Ex fidanzate, amiche, conoscenti, ma anche compagne, mogli, figlie. Un sistema malato dove la donna è mercificata.
I primi casi in assoluto si sono verificati negli Stati Uniti, il fenomeno è poi dilagato in Europa ponendo all’ordine del giorno la necessità di garantire maggiore tutela alle vittime fornendo alle autorità maggiori strumenti di contrasto e di repressione.
In Italia già nel settembre 2016 (in seguito alla morte suicida della giovane Tiziana Cantone, vittima di revenge porn) alcune forze politiche avevano ritenuto necessario prendere posizione sul tema con una norma ad hoc; alla proposta sono seguiti ben tre disegni di legge su cui si è registrata larga convergenza da tutti gli schieramenti politici ma senza mai arrivare al completamento dell’iter parlamentare.
Solo il 19 luglio 2019, dopo che il fenomeno è tornato alla ribalta della cronaca nazionale per un caso che ha visto coinvolta una deputata (on. Sarti), il Parlamento ha approvato, in via definitiva, il c.d. ‘Codice Rosso’, Legge n. 69/2019. La legge ha, in primis, apportato alcune modifiche al Codice penale e al Codice di procedura penale volte a tutelare maggiormente – mediante incrementi di pena e procedimenti penali più veloci – le vittime di violenza domestica e di genere; inoltre, è stato introdotto nel Codice penale l’articolo 612-ter, una norma che mira a sanzionare specificamente la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (il fenomeno del c.d. revenge porn), la norma testualmente recita: «[…]chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza l’espresso consenso delle persone interessate, immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati – con – la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro».
Come contrastare la diffusione e soprattutto come difendersi dal revenge porn?
Se si viene a conoscenza di un post con una propria immagine intima e privata, la prima cosa da fare è denunciare alle autorità di pubblica sicurezza, contattare immediatamente il social network che offre la possibilità di segnalare e far rimuovere il post. In poco tempo il post verrà eliminato e l’account della persona che ha postato le immagini verrà sospeso.
Ma il vero problema non è tanto la rimozione di un contenuto pubblicato sui social quanto la sua condivisione. Rimuovere una foto, un commento, un testo o un video non è così semplice come si possa pensare: la difficoltà che si incontra è insita nel meccanismo attraverso il quale funziona la rete; quando condividiamo un contenuto, infatti, questo viene inviato in pochissimi secondi a vari server, ‘cristallizzandosi’: in altri termini esce completamente dalla nostra disponibilità e dal nostro controllo.
La Polizia di Stato, soprattutto nella situazione attuale, in cui si trascorre molto tempo on-line, invita alla massima prudenza, cercando di evitare l’invio di immagini o video di contenuti intimi e ricordando che, qualora i soggetti coinvolti siano minori, sussistono fattispecie di pornografia minorile. Infatti, soggetti terzi malintenzionati possono accedere abusivamente ad uno dei dispositivi acquisendone il contenuto per divulgarlo o per ricattare la vittima.
È importante tenere alta la guardia su questo argomento che non ha mai smesso di essere attuale, eppure sparisce dalle cronache e ricompare quasi come una moda. Prestare molta attenzione a ciò che si posta, si condivide e si diffonde non solo sui social ma anche attraverso la messaggistica istantanea.
Il momento del click è il punto di non ritorno, quindi, ogni valutazione sull’opportunità e la liceità di quello che si sta per diffondere deve essere fatta esattamente un attimo prima della condivisione, in particolare, del materiale altrui senza consenso.
Movimenti di denuncia a sostegno delle vittime esistono già da tempo e continuano a nascerne ogni giorno. Noi non smettiamo di parlarne, di denunciare, di condannare fermamente, senza se e senza ma.
Impariamo a difenderci, ad avere buon senso nel maneggiare materiale che non ci appartiene e a rispettare la vita e la dignità delle persone.