di Raffaele Sarracino
Durante il periodo di quarantena di novembre, l’iniziativa del Cineforum Online organizzata da CasaleLab, ha dato modo di affrontare il tema dei social network e i pericoli legati ad essi.
Tra i film proposti, infatti, il documentario The Social Dilemma, del regista Jeff Orlowski, ha offerto vari spunti di riflessione attraverso le testimonianze degli esperti della Silicon Valley, con lo scopo di mettere in guardia lo spettatore sulla pericolosità presentata dai social.
Dovremmo chiederci, dunque, quanto di ciò che viene detto corrisponde al vero?
E quanto di ciò che è stato riportato invece è stato inserito per indirizzare lo spettatore a guardare in una determinata direzione?
The Social Dilemma ha come obbiettivo, quello di spiegare agli spettatori la pericolosità delle notizie che vengono veicolate dai social, in quanto, esse hanno la capacità di influenzare le nostre scelte.
Se ci soffermiamo un attimo a pensare a tali strumenti, utilizzati da circa 2 miliardi di utenti, possiamo giungere alla conclusione che tutto ciò avviene alla luce del sole, d’altronde, se così non fosse non sarebbero nati quelli che oggi vengono chiamati “Influencer”.
Il rischio ravvisato, spesso, non deriva dallo strumento in sé ma dal comportamento che viene assunto dall’utente che ne fa utilizzo. Inevitabilmente, i social sono entrati a far parte della vita di ognuno di noi fino al punto che immaginare di vivere senza sembrerebbe quasi impossibile.
Ma in fin dei conti qual è il loro scopo reale?
La risposta è abbastanza semplice: pubblicità.
Proprio come avviene con qualsiasi altro mezzo di comunicazione: giornali, cartelloni pubblicitari, radio o TV; i social però lo fanno in modo molto più efficiente, talmente efficiente che spesso non riusciamo neanche a rendercene conto.
Nel documentario The Social Dilemma vengono mostrate le immagini di tre soggetti in una stanza buia davanti a delle console che decidono cosa mostrarci e quando mostrarcelo, come avviene nel film d’animazione vincitore del premio Oscar “Inside Out” con le emozioni che vivono nel Quartier generale.
La metafora rappresentata dai “i soggetti che smanettano alle consolle” corrisponde nella realtà agli algoritmi utilizzati per determinare quale pubblicità mostrare.
La reale pericolosità di questo modus operandi deriva dal fatto che la pubblicità può essere fatta in modo mirato, sulla base di diverse categorie di persone, sulla base degli interessi personali e del comportamento di ognuno di noi. Quasi come se non avessimo più libertà di scelta.
Dovremmo a questo punto domandarci come mai hanno tutte queste informazioni su di noi. Anche in tal caso la risposta è banale in quanto siamo noi a fornire tutte le informazioni di cui hanno bisogno per conoscere esattamente chi siamo, cosa vogliamo, cosa ci piace.
Forniamo tali informazioni quando mettiamo una reazione ad un post piuttosto che ad un altro, quando commentiamo oppure quando apriamo una pagina e passiamo del tempo ad osservarne il contenuto. Tutte queste informazioni, se prese tutte insieme, possono essere utilizzate per fornire un modello comportamentale sulla base del quale poter fare quella pubblicità mirata, efficace, spietata, la quale risulta essere molto più potente di quella fatta fino ad ora attraverso i mezzi tradizionali.
Non a caso, una determinata notizia, un annuncio pubblicitario particolare, arriva a coloro che in qualche modo risultano già interessati a quel prodotto.
Come possiamo proteggerci da tale influenza sulle nostre scelte?
Non è detto che ci sia bisogno di chiudere i nostri profili social in modo da non essere raggiunti da tali informazioni.
Il modo migliore per proteggersi da tali strumenti non è tanto quelli di non utilizzarli, bensì allenarsi, informarsi, imparare a distinguere quelle che sono le notizie vere da quelle false, a ridurre le informazioni personali che affidiamo a tali strumenti e ricordarsi sempre che il mondo reale non è nei social, non è uno schermo il luogo ideale in cui rifugiarsi.
Il confronto, con altre persone, con idee ed esperienze differenti, rappresenta il modo migliore per poter formare un pensiero proprio.
Siamo quindi noi stessi, spesso a creare tali pericoli, i quali nascono spesso da un cattivo utilizzo di tali strumenti, proprio come potrebbe accadere con gli altri strumenti di comunicazione. Occorre diventare utenti attivi, nel senso che è necessario, guardare le cose in modo critico e riflettere su ciò che ci viene proposto e non limitarci semplicemente a percepire le informazioni che ci vengono proposte.